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Depressione e melanconia: il vuoto senza parola

Depressione e melanconia: il vuoto senza parola
Pubblicato il: 13 Agosto 2025
Depressione e melanconia: il vuoto senza parola

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Pubblicato il: 13 Agosto 2025

Scritto da:

Redazione Clinica Psiche

Tristezza, lutto e depressione: come distinguerli

Non ogni stato di tristezza va inteso come patologico. Gli affetti depressivi possono essere una reazione naturale e fisiologica a eventi di perdita, rottura o delusione. In questi casi, la tristezza conserva un legame con l’evento che l’ha originata, è condivisibile, narrabile e soggetta a trasformazione nel tempo. La depressione e la melanconia, invece, configurano quadri clinici più complessi, in cui la sofferenza appare svincolata da un oggetto definito e dalla possibilità di simbolizzazione. Come spiegava Freud in “Lutto e melanconia” (1917), la differenza principale tra il lutto e la melanconia è che nel lutto sappiamo bene cosa abbiamo perso e il dolore si attenua con il tempo. Nella melanconia, invece, non è chiaro cosa sia andato perduto: la persona smette inconsciamente di amare l’altro e rivolge contro di sé l’energia emotiva, portando a un crollo dell’autostima. In altre parole, non è solo il mondo esterno a svuotarsi, ma è il senso di sé che viene ferito.

La depressione come esperienza di svuotamento psichico

Dal punto di vista clinico, la depressione può manifestarsi come un’esperienza di vuoto emotivo, perdita di desiderio, anedonia e compromissione della funzione simbolica. I pazienti spesso riferiscono un’incapacità a rappresentare ciò che provano, con vissuti che si esprimono più come mancanza (di senso, motivazione, legame) che come dolore riconoscibile. Il tempo soggettivo si appiattisce, le giornate perdono colore, e si osserva un progressivo ritiro dalla realtà relazionale. È frequente una difficoltà marcata nel narrare la propria sofferenza, nel formularla in pensieri o parole condivisibili. In tal senso, la depressione si configura come un disturbo della simbolizzazione e del desiderio. Victor Hugo, nella “Lettera a un amico”, scriveva: “Il dolore è come una nube: può coprire il cielo intero o lasciarne trasparire un lembo”. La melanconia, tuttavia, è una nube persistente che non si dirada, generando una forma di immobilità psichica.

Approccio terapeutico: favorire la simbolizzazione

L’assetto psichico del soggetto, la sua capacità di tollerare la perdita e la qualità delle sue relazioni primarie rappresentano fattori importanti nel determinare la direzione che prenderà il dolore. Nel setting psicoterapeutico, l’obiettivo non è soltanto la remissione sintomatica, ma la creazione di uno spazio trasformativo in cui sia possibile elaborare ciò che non è ancora stato detto o rappresentato. La funzione simbolica della parola, il contenimento offerto dalla relazione terapeutica e la possibilità di riattivare processi di desiderio diventano centrali nel trattamento. La psicoterapia si propone come luogo in cui la sofferenza muta può lentamente trovare forma. Dare parola al vuoto non significa semplicemente spiegare, ma creare le condizioni per un contatto autentico con il proprio mondo interno. Attraverso questo processo, quando la voce sembra perdersi, la parola terapeutica può farsi spazio laddove il dolore non ha ancora forma, restituendo lentamente al soggetto la sua voce.

Bibliografia

Bion, W. R. (1962). Apprendere dall’esperienza. Armando Editore. Freud, S. (1917). Lutto e melanconia. In Opere complete, vol. VIII. Bollati Boringhieri. Green, A. (2002). Il discorso vivo. La teoria della clinica psicoanalitica. Raffaello Cortina Editore. Hugo, V. (1996). Lettere scelte. Garzanti. Recalcati, M. (2002). L’uomo senza inconscio. Figure della nuova clinica psicoanalitica. Raffaello Cortina Editore.

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