Benvenuta Tatiana! Psicoterapeuta in formazione presso la scuola di perfezionamento in psicoterapia sistemica. Puoi raccontarci un po’ il modello della psicoterapia sistemica e gli aspetti che ti appassionano di più?
Mi sono innamorata della psicoterapia sistemica quando ero all’università in Brasile. Abbiamo studiato partendo da Palo Alto, da dove tutto ha avuto inizio. Poi ho scoperto che in Italia c’erano dei centri di formazione e ho deciso di approfondire.
Io spiego ai miei pazienti che la psicoterapia sistemica considera ogni individuo come il risultato delle sue relazioni. Siamo il prodotto delle nostre esperienze relazionali, sia in ambito familiare, amicale che lavorativo. Non siamo isole: le relazioni sono la base della nostra esistenza. Questo modello vede l’individuo inserito in un sistema, e lavora proprio su queste connessioni.
Hai citato gli istituti di formazione in Italia. Ti riferisci alla scuola di Milano, quella di Mara Selvini Palazzoli?
Esatto! L’opera di Mara Selvini Palazzoli è stata determinante nello sviluppo della psicoterapia sistemica. Era una donna geniale!. Ciò che mi ha sempre affascinato di Mara Selvini è il suo modo di pensare fuori dagli schemi. Lei ha saputo rompere con le rigidità del tempo, innovando profondamente il modo di fare terapia.
Ricordo un filmato in cui non prendeva in carico una famiglia intera per provocare un cambiamento: il fatto di non accogliere direttamente il paziente generava un movimento nell’intero sistema, portando a un miglioramento generale. Aveva una visione che andava oltre il singolo individuo, considerando l’intera rete di relazioni in cui è inserito.
Hai parlato dell’importanza delle relazioni nella costruzione dell’identità. Mara ha avuto una storia personale molto particolare. Pensi che questo abbia influito sulla sua genialità terapeutica?
Non ricordo nel dettaglio tutta la sua storia personale, ma possiamo sicuramente collegarla alla teoria dell’attaccamento. Lei è stata cresciuta da una figura di riferimento diversa dai suoi genitori biologici, e l’attaccamento è fondamentale nello sviluppo di una persona. La psicoterapia sistemica lavora molto su questo, sulle “sette porte” tra cui proprio il tipo di attaccamento.
Come terapeuti, dobbiamo prima di tutto comprendere il nostro stesso stile di attaccamento per riuscire a entrare in contatto con i pazienti e i loro modelli relazionali.
Hai citato l’attaccamento come una delle porte della terapia sistemica. Un’altra porta è il genogramma. Puoi spiegarci di cosa si tratta?
Il genogramma è uno strumento che presento ai pazienti come un albero genealogico, ma con una funzione più analitica. Ci permette di raccogliere informazioni trigenerazionali, partendo dai nonni materni e paterni fino al paziente.
Attraverso il genogramma possiamo individuare relazioni, schemi ricorrenti, malattie familiari, dinamiche di attaccamento e persino eventi significativi come lutti o traumi. È uno strumento chiave per comprendere se il sistema familiare è una risorsa o un ostacolo per il paziente.
Spesso i pazienti iniziano dicendo: “La mia famiglia è perfetta”, ma mentre costruiscono il genogramma emergono ricordi e dinamiche di cui non erano pienamente consapevoli. Questo aiuta a comprendere che il nostro comportamento e il nostro modo di relazionarci sono spesso il risultato di come siamo stati cresciuti e delle esperienze vissute.
Nel lavorare con il genogramma, può succedere che il paziente provi frustrazione, come se si stesse giustificando il comportamento dei genitori o dei nonni. Come gestisci questo aspetto?
Cerco sempre di offrire prospettive diverse. Non si tratta di giustificare, ma di comprendere. Quando riusciamo a capire che certi comportamenti derivano da limiti e non da scelte volontarie, possiamo smettere di prenderli sul personale.
Spesso viviamo con l’idea che tutto sia una nostra responsabilità o colpa, ma comprendere le difficoltà e i limiti degli altri aiuta a sciogliere il risentimento e a migliorare le nostre relazioni.
Giorgio Nardone parla della necessità di riconoscere, accettare e trascendere le miserie dei propri genitori. Sei d’accordo?
Sì, assolutamente. È fondamentale riuscire a vedere i nostri genitori come persone, con i loro pregi e difetti. Tendiamo a idealizzarli, in positivo o in negativo, attribuendo loro meriti o colpe assolute. Ma quando riusciamo a distinguere tra la figura genitoriale e la persona che sono realmente, comprendiamo che anche loro hanno avuto le loro mancanze e difficoltà.
Se una persona inizia un percorso di psicoterapia sistemica, cosa può aspettarsi? Come avviene una seduta?
Le prime sedute servono a conoscerci e a capire cosa si aspetta il paziente. In clinica, i pazienti spesso non scelgono direttamente il tipo di terapeuta, quindi alcuni arrivano senza sapere cosa sia la terapia sistemica.
Dopo aver introdotto il modello, se il paziente è d’accordo, cerco di attivare il suo sistema relazionale. Anche con pazienti adulti, può essere utile coinvolgere genitori, partner o figli. La terapia sistemica permette di lavorare con setting molto ampi, includendo sedute familiari o di coppia, a seconda delle necessità.
C’è qualcosa di particolarmente significativo che vuoi aggiungere?
Andate dallo psicologo! (ride)
Scherzi a parte, voglio lasciare un messaggio di speranza: anche se una persona è immersa nella propria sofferenza e fatica a vedere una via d’uscita, c’è sempre spazio per un cambio di prospettiva.
Nella terapia lavoro molto sulla parola “prospettiva” perché credo che possiamo sempre guardare le cose da un altro punto di vista. Questo aiuta a comprendere nuovi meccanismi e a trovare soluzioni prima inimmaginabili. Non si tratta di migliorarsi o peggiorarsi, ma di evolvere con le persone che ci circondano per costruire relazioni più sane e soddisfacenti.
Tatiana Ziller è operativa come psicoterapeuta in formazione per Clinicapsiche presso le sedi di Lugano, Locarno e Grono