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Psicoterapia Adleriana fenomenologica – Intervista a Maurizio Rampazzo

Maurizio Rampazzo
Pubblicato il: 12 Novembre 2024
Psicoterapia Adleriana fenomenologica – Intervista a Maurizio Rampazzo

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Pubblicato il: 12 Novembre 2024

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ClinicaPsiche
Redazione

Abbiamo incontrato Maurizio Rampazzo, psicoterapeuta con un approccio si psicoterapia Adleriana fenomenologico, attivo per Clinicapsiche nelle sedi di Lugano e Mendrisio per approfondire il suo metodo di lavoro, i principi della sua scuola di pensiero e il modo in cui la terapia può aiutare le persone a trasformare la propria vita.

Puoi spiegarci in cosa consiste l’approccio della psicoterapia Adleriana fenomenologica e quali sono i suoi principi fondamentali?

L’approccio adleriano è una visione della psicoterapia olistica, meno frammentata rispetto alla psicoanalisi classica. Al centro c’è sempre la persona, con la sua individualità e il suo vissuto. È un metodo che si adatta molto alla quotidianità, perché tiene conto degli aspetti sociali e relazionali della vita dell’individuo.

Uno dei concetti chiave è il complesso di inferiorità, che Adler non intendeva in senso freudiano, ma come una spinta al miglioramento. Di fronte alle difficoltà, la persona attiva un meccanismo di compensazione, cercando un riscatto attraverso azioni concrete che permettono di superare il senso di inadeguatezza.

Un altro pilastro fondamentale è lo stile di vita, un concetto originario di Adler. Rappresenta il modo in cui ognuno di noi interpreta il mondo e affronta la realtà, basandosi sulle esperienze infantili e sui modelli appresi. Negli studi di psicoterapia a Mendrisio e Lugano, aiuto i pazienti a prendere consapevolezza del proprio stile di vita e, se necessario, modificarlo in modo più funzionale.

Quali sono le maggiori difficoltà che le persone incontrano nel percorso terapeutico e nel cambiamento dello stile di vita?

Il principale ostacolo è la resistenza al cambiamento. Modificare il proprio stile di vita significa mettersi in discussione, adottare un pensiero critico su sé stessi e riconoscere le proprie difficoltà. Non è semplice: spesso le persone mantengono schemi disfunzionali perché, pur essendo fonte di sofferenza, rappresentano comunque qualcosa di familiare.

In alcuni casi, questo processo può essere paragonato alla psicopatologia: se una persona non ha consapevolezza del proprio disturbo, avrà difficoltà ad accettare una terapia, anche farmacologica. Allo stesso modo, nel percorso psicoterapeutico, chi non riconosce il proprio problema troverà difficile affrontarlo.

Puoi raccontarci un caso clinico in cui si evidenzia questo cambiamento?

Un esempio significativo è stato il caso di una persona con una relazione problematica. All’inizio, il paziente sembrava comprendere dove fosse il problema, ma non riusciva a compiere il passo del cambiamento. Continuava a tenere aperta una possibilità, a non voler vedere alcuni aspetti evidenti della situazione.

Ci è voluto un anno di lavoro per portarlo a una vera consapevolezza e aiutarlo a ristrutturare il proprio stile di vita. Spesso, nel percorso terapeutico, è necessario accompagnare il paziente passo dopo passo, senza forzature, ma con un costante incoraggiamento.

Mi piace usare una metafora: lo psicoterapeuta è come uno sherpa che accompagna il paziente lungo un sentiero impervio. Senza questa guida, la scalata sarebbe quasi impossibile.

Hai citato più volte la fenomenologia. Come si integra con il modello adleriano?

La fenomenologia si basa sulla comprensione dell’esperienza soggettiva della persona, senza ridurla a schemi rigidi. Questo è fondamentale anche nell’approccio adleriano, che vede l’individuo come un tutto indivisibile.

Il punto di partenza è sempre la conoscenza dell’uomo, prima ancora che la terapia. Capire il mondo del paziente, la sua prospettiva, è essenziale per poterlo aiutare. Non si tratta solo di applicare tecniche, ma di entrare in relazione autentica con l’altro.

Un altro concetto chiave dell’approccio della psicoterapia adleriana è il sentimento di comunità. Di cosa si tratta?

Secondo Adler, il benessere psicologico passa anche attraverso il senso di appartenenza. L’essere umano ha bisogno di sentirsi parte di un sistema, di una rete sociale. Se questa connessione si spezza, emergono difficoltà emotive e psicologiche.

I tre ambiti fondamentali su cui si costruisce l’equilibrio di una persona sono:

  • Lavoro,
  • Amore,
  • Socialità.

Se uno di questi tre aspetti è compromesso, è importante capire il perché e lavorarci in terapia. È un concetto che, in parte, richiama la piramide di Maslow, ma senza una rigidità gerarchica: piuttosto, si tratta di sfere interconnesse che devono essere in equilibrio.

Cosa può aspettarsi un paziente che inizia un percorso con te?

Prima di tutto, un ascolto autentico. Il paziente non è solo un “caso clinico”, ma una persona con la sua storia e il suo vissuto.

La terapia è un incontro tra due esseri umani, in cui il terapeuta accompagna il paziente in un processo di consapevolezza e crescita. Il fine non è imporre un cambiamento dall’esterno, ma aiutare la persona a vedere nuove possibilità per sé stessa.

Qual è la tua esperienza professionale e quali sono le tue specificità?

Il mio percorso è nato in ambito psichiatrico, dove ho lavorato con persone che hanno vissuto fratture esistenziali profonde. Ho avuto esperienza in centri di salute mentale, comunità terapeutiche e contesti ospedalieri, dove il lavoro in équipe multidisciplinare è essenziale.

Lavorare in comunità è molto diverso rispetto a uno studio privato. In un contesto strutturato, la relazione con il paziente si costruisce non solo nel setting terapeutico, ma anche nel vivere quotidiano, nel fare insieme.

Nello studio, invece, il rapporto è più concentrato nei momenti di seduta. Tuttavia, rimane fondamentale il concetto fenomenologico di “essere con”: la terapia non è solo un ascolto passivo, ma un coinvolgimento autentico e umano.

Pensi che la psicoterapia Adleriana possa essere utile anche per chi non ha una sofferenza grave?

Assolutamente sì. La psicoterapia Adleriana non è solo per chi soffre di patologie psichiatriche, ma anche per chi vuole comprendere meglio sé stesso, migliorare le proprie relazioni e il proprio benessere.

Alla base del mio lavoro c’è l’idea di accompagnare la persona verso una nuova visione di sé e del mondo, attraverso un percorso che permette di trovare nuove chiavi di lettura della propria esperienza.

Grazie per il tuo tempo, Maurizio. C’è qualcosa che vorresti aggiungere?

Solo che la psicoterapia non è una strada preconfezionata. Ogni percorso è unico, perché ogni persona è unica.

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